www.sicurezzaoperatoresanitario.it

CONSEGUENZE DELL'ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE

RISCHIO BIOLOGICO

L’esposizione occupazionale al rischio biologico negli operatori sanitari è un problema di tutela della salute del lavoratore che coinvolge non solo l’operatore esposto, ma anche l’organizzazione (e quindi la società) che dell’operatore si avvale per adempiere all’alto servizio del prevenire le malattie e del curare chi ne è affetto.

L’esposizione occupazionale al rischio biologico negli operatori sanitari è quindi un tema di rilevanza etica, gestionale, legale, sindacale e politica.
In particolare:

  • A seguito di un’esposizione accidentale, l’operatore infortunato vive, inevitabilmente, momenti di grande tensione nell’attesa del verdetto medico. Mentre aspetta di conoscere se la sorgente sia infetta (e non sempre è possibile raccogliere questa informazione), sa che in ogni caso lo attendono mesi di incertezza e, non raramente, di intenso disagio psico-fisico (la stessa profilassi post esposizione – PPE – comporta effetti collaterali importanti). L’operatore infortunato sa anche che la sua vicenda potrebbe concludersi con una malattia cronica grave, che ridurrà drasticamente la qualità e la durata della sua vita. La frustrazione sperimentata raggiunge poi il suo apice nella consapevolezza che l’incidente poteva, quasi certamente, essere evitato.
  • La famiglia e gli affetti dell’operatore sono da subito coinvolti e si trovano a condividere le stesse ansie e le stesse paure. Anche molti aspetti del vivere quotidiano sono toccati e mutati dall’accaduto: dal semplice (ma, psicologicamente, frustrante) bisogno di evitare la condivisione di alcuni oggetti personali, alla ben più complessa necessità di dover proteggere i rapporti sessuali e, eventualmente, rimandare un progetto di maternità/paternità.
  • Non mancano poi le implicazioni professionali e sociali: dalla possibilità di vedersi destinati a diversa mansione in ambito lavorativo, ai giorni di assenza forzata dal lavoro; dal possibile coinvolgimento di amici e conoscenti, all’eventualità di dover modificare le proprie consuetudini relazionali.
  • Inevitabile risulta poi, il coinvolgimento dell’intera organizzazione: al di là delle possibili conseguenze di natura legale (civile e penale), il senso di fallimento ed inadeguatezza rispetto ad un accadimento tanto grave quanto evitabile non può (e non deve) essere sottaciuto. Le molteplici funzioni poste a garanzia della tutela della salute del lavoratore (il datore di lavoro, i dirigenti, i preposti, il Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione, il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, ecc.), non possono non registrare un sostanziale fallimento del loro mandato.
  • Non vanno, infine, sottovalutate le implicazioni in termini di tutela dei diritti dei lavoratori. In nessuna azienda degna di tal nome e, a maggior ragione, in nessuna attività gestita direttamente dallo Stato e dalle Regioni sarebbe concepibile “mandare i lavoratori allo sbaraglio” in presenza di un così grave e documentato rischio. Eppure è ciò che ancora accade nella maggioranza degli ospedali pubblici e privati. Un semplice confronto può efficacemente rendere il concetto: un tecnico dell’ENEL è autorizzato ad accedere ad un impianto elettrico solo dopo aver indossato le necessarie protezioni e solo se equipaggiato con strumenti di lavoro idonei a prevenire alla fonte l’esposizione occupazionale (esempio: calzari, guanti, cacciavite e pinze isolanti).
    Ogni tecnico dell’ENEL ha in dotazione quanto occorre, è stato formato sulle procedure da rispettare ed è stato letteralmente diffidato dal prestare la sua opera in mancanza delle necessarie condizioni di sicurezza (pena gravi sanzioni, fino al licenziamento). A meno di voler dissertare sul fatto che la possibilità di contrarre un’infezione potenzialmente letale sia più o meno preferibile alla possibilità di ricevere una scarica elettrica (confronto, ovviamente, privo di ogni fondamento), è necessario domandarsi perchè un’infermiera che si rechi al letto del paziente per eseguire un prelievo venoso, o per introdurre un catetere i.v., non sia posta nelle condizioni di sicurezza garantite al tecnico dell’ENEL che accede ad un impianto elettrico.
    In buona sostanza è, di fatto, rilevabile una “discriminazione” che non ha alcuna ragion d’essere, un gap che può, e deve, essere tempestivamente colmato.

RISCHIO CHIMICO

Il personale sanitario è soggetto al rischio chimico in relazione non solo all'utilizzo di sostanze chimiche (ad esempio detergenti, disinfettanti, sterilizzanti, ...), ma anche alla preparazione e somministrazione di farmaci (farmaci antibiotici, antiblastici/antitumorali).

SCOPRI DI PIÙ

CORRETTO UTILIZZO DEI DISPOSITIVI

La direttiva 2010/32/UE pur fornendo una serie di definizioni non chiarisce cosa sidebba intendere per "dispositivo con meccanismo di protezione".
La Regione Emilia-Romagna recepisce i criteri pubblicati fissati da varie Agenzie Internazionali Regolatorie.

SCOPRI DI PIÙ

SICUREZZA DI TAGLIENTI E PUNGENTI PER L'OPERATORE SANITARIO

SCOPRI DI PIÙ

Un servizio di informazione offerto agli operatori sanitari da Becton Dickinson